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Il test del DNA fetale è un recente esame prenatale non invasivo che, analizzando il DNA fetale libero circolante isolato nel sangue materno a partire dalla decima settimana di gestazione, valuta la presenza delle aneuploidie fetali, relative ai cromosomi 21 (Sindrome di Down), 18 (Sindrome di Edwards) e  13 (Sindrome di Patau). Il test prevede, inoltre, la determinazione del sesso fetale, informazione aggiuntiva gradita alla paziente ed utile alla gestione di eventuali malattie genetiche legate al sesso.

Durante la gravidanza alcuni frammenti di DNA del feto e della placenta circolano nel sangue materno. Il DNA fetale è rilevabile sin dalla quinta settimana di gestazione, la sua concentrazione aumenta nelle settimane successive e scompare dopo il parto. La quantità di DNA fetale idonea per eseguire il test è riscontrabile a partire dalla decima settimana di gravidanza (calcolata dal primo giorno dell’ultima mestruazione). E’ quindi consigliabile che la paziente esegua una datazione ecografica precisa della gravidanza poiché eventuali discrepanze con l’epoca di amenorrea potrebbero falsare la valutazione dell’età gestazionale e compromettere l’affidabilità del risultato.

 

Il test si esegue mediante il prelievo di un campione ematico della gravida da cui viene isolato il DNA fetale che viene sequenziato al fine di determinare la presenza di eventuali anomalie dei cromosomi. 

 

La risposta viene fornita in circa 7-10 giorni lavorativi ed è estremamente affidabile, con un’attendibilità di circa il 99% per la s. di Down e del 96 e 91% rispettivamente per la trisomia 18 e 13, con percentuali di falsi positivi <1%.

 

Il DNA fetale è un test di screening non è un esame diagnostico. Il risultato è probabilistico, cioè indica la possibilità che la patologia possa essere presente. L’unica metodica per la determinazione del cariotipo fetale è rappresentata dalla diagnosi prenatale invasiva (villocentesi o amniocentesi). Nel caso in cui il test identifichi un sospetto di cromosomopatia sarà, quindi, sempre necessario eseguire una tecnica invasiva per confermare la diagnosi. 

Analogamente deve essere sottolineato che un risultato che indichi assenza di aneuploidie, sebbene estremamente rassicurante, non è in grado di escludere con assoluta certezza la presenza delle anomalie cromosomiche oggetto dell’indagine. 

Per maggiori informazioni consulta le linee guida del Ministero della Salute a questo link.

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